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Mascherine e dpi: sequestri e dissequestri, tra acrobazie interpretative ed iperfetazione normativa

Come noto, in conseguenza della diffusione del virus Sars2 Covid-19, diversi operatori economici hanno modificato o perfino convertito la propria attività al fine di produrre o di importare mascherine facciali e dispositivi di protezione individuale (DPI) necessari a fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto, anche in considerazione dell’obbligatorietà dell’utilizzo di tali dispositivi introdotta dai notori provvedimenti governativi.

L’ampliamento o perfino l’istituzione di un ramo di mercato prima marginale o pressoché inesistente, in uno alla fondamentale finalità di tutela della salute collettiva ed individuale cui tali merci erano e sono destinate, ha stimolato l’intervento dell’Autorità giudiziaria, della polizia giudiziaria e/o dei competenti Organismi di controllo, volto evidentemente e giustamente a verificare la salubrità e la liceità delle merci in questione, in molti casi importate da Paesi extra-UE e dunque prive di marchio CE.

Ne è scaturita l’applicazione, in alcuni casi impropria, di istituti e fattispecie incriminatrici anche risalenti nel tempo e comunque coniati dal legislatore in relazione a situazioni di fatto o di diritto all’evidenza inconciliabili con quelle attuali: tale applicazione ha dunque portato alla apposizione di vincoli di indisponibilità di matrice penalistica (ossia, a sequestri probatori o preventivi) sui prodotti de quibus, come diretta conseguenza dell’ipotizzata integrazione di reati quali il contrabbando aggravato, la frode in commercio o l’importazione e commercializzazione di prodotti non salubri.

La materia di riferimento è estremamente complessa, poiché si intersecano istituti e discipline penali ed extra-penali, il che – com’è ovvio – rende particolarmente difficoltosa l’opera dell’interprete, soprattutto in considerazione del (consueto) massiccio intervento del legislatore del 2020.

Nel contesto appena delineato, sin dall’esordio della pandemia e della situazione emergenziale che ne è derivata, lo Studio ha avuto modo di confrontarsi con le problematiche sin qui illustrate, avendo prestato assistenza e consulenza in favore di aziende, enti ed operatori economici attivi nel settore merceologico di cui si tratta e – in alcuni casi, loro malgrado – destinatari di provvedimenti ablativi del genere di quelli già citati.

L’esegesi approfondita della complessa normativa di riferimento e l’armonizzazione tra quella preesistente e quella di nuovo conio hanno consentito in alcuni casi di scongiurare l’applicazione di vincoli di indisponibilità, mentre in altri casi di liberare le merci (anche per milioni di pezzi) da sequestri probatori e/o preventivi precedentemente applicati.

È il caso, a mero titolo esemplificativo, del provvedimento di dissequestro intervenuto in data 19 ottobre 2020, con cui la Procura della Repubblica di Civitavecchia (territorialmente competente per le importazioni effettuate presso la Dogana di Fiumicino) – nell’aderire alla tesi difensiva sostenuta e documentata dallo Studio, che evidenziava la mancata integrazione del contestato reato di contrabbando aggravato – disponeva la caducazione del vincolo di indisponibilità apposto nell’agosto 2020 su diversi milioni di mascherine facciali, al contempo riconoscendo l’esenzione di tali merci dal pagamento di dazi, IVA e diritti di confine laddove destinate a soggetti pubblici (atto che si riporta di seguito); è altresì il caso, sempre a mero titolo esemplificativo, della domanda di inazione avanzata dalla medesima Procura della Repubblica di Civitavecchia in data 18 settembre 2020, in cui – in totale accoglimento della tesi difensiva elaborata dallo Studio – la competente Autorità giudiziaria evidenziava la mancata integrazione del reato di importazione di d.p.i. non salubri (ex art. 14 d.lgs. n. 475/1992) per contrasto con il principio di tassatività dell’illecito penale e con il divieto di analogia in malam partem (atto che pure si pubblica di seguito).

Decreto revoca sequestro preventivo
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